Dolore pelvico cronico 5 punti per lavorarci psicologicamente
Psicologia, Vulvodinia

Dolore cronico: 5 punti per lavorarci psicologicamente – ultima parte

Terminiamo il nostro percorso con la Dott.ssa Marta Corbetta, Psicologa e Psicoterapeuta, analizzando gli ultimi punti per lavorare psicologicamente sul dolore pelvico cronico.

Per chi si fosse perso la prima parte dell’articolo, la può trovare qui.

4- Dare un significato al dolore

Il dolore è un’esperienza che cambia il rapporto col proprio corpo, con gli altri e con il proprio stare nel mondo.

Per questo può assumere significati diversi a seconda delle persone, dei tratti di personalità, delle esperienze di vita, degli aspetti socioculturali…

Di fronte alla malattia si può assumere un atteggiamento sconfitto e mortifero oppure si può ritrovare una motivazione che permetta di vivere e non subire le difficoltà, dando un nuovo significato alla propria esistenza.

Qual è dunque il vostro?

Per alcune donne, vivere con il dolore potrebbe significare la perdita dell’integrità o dell’essere donna stessa.

Per altre, la capacità di essere autonome, dovendo aver bisogno degli altri.

Per altre ancora, potrebbe coincidere con il sentirsi inutili e un peso per il partner; oppure significare il sentirsi “rotte”.

Molto spesso però non se ne è consapevoli, perché più attente alle questioni mediche, alla valanga di emozioni che arrivano e alle terapie incalzanti.

Identificare ed esprimere il significato del proprio dolore è il primo passo per raggiungere un senso di padronanza sullo stesso.

Per farlo si può iniziare a porsi delle domande.

Per esempio:

  • Rispetto all’ultima esperienza di dolore che ho provato, che umore avevo?
  • Che conseguenze ho avuto nelle relazioni con gli altri?
  • Dove era focalizzata la mia attenzione?
  • Che comportamenti ho messo in atto/ho evitato quando ho provato dolore?
  • Che tipo di pensieri produceva la mia testa?
  • Tutto questo che significato ha per me?

Questo semplice esercizio permette di capire la stretta connessione tra dolore, umore e comportamento e quindi dare un significato all’esperienza vissuta.

E’ già un primo importante punto di partenza.

5- Integrare (o accettare?) l’esperienza dolorifica

L’esperienza dolorifica irrompe nel percorso di vita di una persona creando una frattura tra un prima e un dopo, costringendo la persona stessa ad una revisione della propria progettualità.

Imparare a viversi non solo per sottrazione, come persona malata e invalida, ma ad integrare in sé l’esperienza della malattia, permette di dar vita a un nuovo modo originale di rapportarsi al mondo.

Non è un processo immediato, richiede tempo e passa attraverso diverse fasi: dal diniego, alla rabbia, dalla contrattazione alla depressione e infine all’accettazione.

Accettazione significa quindi saper prendere quello che la vita pone dinnanzi anche quando questo è doloroso e sembra scombinare tutti i piani e gli schemi che fino a quel momento hanno guidato la mente.

L’accettazione serve dunque a far sì che non si sperperino risorse in uno scopo che è irraggiungibile.

Implica “la resa nella futile lotta per fermare i pensieri automatici e intrusivi sulla malattia” (Hayes e Wilson, 1994) e “la sosta nella ricerca di una soluzione definitiva per i sintomi fisici”.

Questo non significa arrendersi; piuttosto, significa reindirizzare le energie verso altri aspetti della vita altrettanto importanti.

La vita comprende anche il dolore e non c’è modo di evitarlo.

Tutti, prima o dopo, ne avranno esperienza.

Quello che possiamo, ed è saggio, fare è integrare l’esperienza dolorifica nella nostra quotidianità, lasciando spazio alle esperienze della vita, per quelle che sono.

A chi rivolgersi

Dott.ssa Marta Corbetta, Psicologa e Psicoterapeuta ad Indirizzo Cognitivo Comportamentale, EMDR Pratictioner

PER MAGGIORI INFORMAZIONI:
Tel. 035 5297162 | info@casamedica.it